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L’hanno chiamata Colobopsis imitans: è una nuova specie di formica arboricola scoperta da un gruppo di ricerca che comprende anche studiosi dell’Università di Bologna e descritta in un articolo pubblicato sul “Zoological Journal of the Linnean Society”.

Appartenente al genere Colobopsis, la nuova formica è stata individuata in Sicilia, nel Maghreb e nell’area meridionale della Penisola Iberica. Il nome “imitans” deriva dalla particolare colorazione e da alcuni tratti comportamentali che imitano quelli di un’altra formica – chiamata Crematogaster scutellaris – con la quale condivide l’ambiente in cui vive: una forma di mimetismo che è probabilmente una strategia difensiva, dato che la specie che viene imitata è più aggressiva e quindi meno appetibile per i predatori.

“L’identificazione di questa nuova specie aggiunge un tassello importante allo studio della fauna e in particolare delle popolazioni di formiche in Italia, e mette in evidenza quanto ancora c’è da scoprire sulla biodiversità del nostro territorio”, dice Andrea Luchetti, professore al Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna, tra gli autori dello studio. “Inoltre, questo e altri casi analoghi di mimetismo tra diverse specie di formiche offrono nuove importanti informazioni sui meccanismi evolutivi che sono alla base della diversificazione degli animali”.

Le formiche sono infatti un gruppo di insetti estremamente diversificato: ad oggi si contano circa 13.860 diverse specie, distribuite in quasi tutti gli ecosistemi terrestri. Questa grande varietà nasce dall’azione di comportamenti e strategie evolutive diverse, che permettono anche a centinaia di specie di coesistere all’interno nello stesso habitat. In questi casi, ci sono solitamente poche specie dominanti, che vivono in grandi comunità organizzate, e un gran numero di altre specie che vivono invece in piccole colonie. È in questi contesti che alcune delle specie “minori” finiscono per imitare quelle dominanti per evitare le attenzioni dei predatori.

Fino ad oggi si era pensato che nel paleartico occidentale il genere di formiche Colobopsis fosse composto da una sola specie, chiamata Colobopsis truncata: una formica arboricola con un’ampia diffusione, che forma piccole colonie nelle cavità di alberi e rami secchi. Dopo un’indagine lunga e complessa, realizzata con diversi approcci metodologici, gli studiosi hanno però scoperto che esiste anche un’altra specie di Colobopsis: Colobopsis imitans, presente in Sicilia, nel Maghreb e nella parte meridionale della Penisola Iberica.

“La diversificazione di queste due specie sembra essere avvenuta in tempi relativamente recenti, perché le differenze tra loro, benché distinguibili, non sono nette”, dice ancora Luchetti. “Il colore è il principale fattore distintivo: l’aspetto di Colobopsis truncata è simile a quello di una specie chiamata Dolichoderus quadripunctatus, mentre Colobopsis imitans è simile a un’altra specie, chiamata Crematogaster scutellaris”.

Entrambe le specie di Colobopsis avrebbero insomma adottato strategie di mimetismo rispetto a specie più aggressive o meno appetibili per i predatori – ad esempio per gli uccelli o per le lucertole – ma si sarebbero diversificate imitando specie diverse a seconda del contesto geografico in cui si sono trovate a vivere.

“Il mimetismo sembra aver giocato un ruolo importante nel guidare la diversificazione delle due specie di Colobopsis”, conferma Luchetti. “In questo senso, il caso di Colobopsis truncata e Colobopsis imitans può essere considerato l’unico esempio finora ben documentato tra le formiche che suggerisce una diversificazione tra due specie sorelle determinata da una forma di mimetismo”.

Lo studio è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista “Zoological Journal of the Linnean Society” con il titolo “Is mimicry a diversification-driver in ants? Biogeography, ecology, ethology, genetics and morphology define a second West-Palaearctic Colobopsis species”.

Insieme a studiosi dell’Università di Parma e del Centre for Ecological Research di Vácrátót (Ungheria), per l’Università di Bologna hanno partecipato Filippo Castellucci, dottorando nel corso di Scienze della Terra della Vita e dell’Ambiente, e Andrea Luchetti, entrambi attivi al Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali.

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