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La superficie e il volume del Ghiacciaio della Marmolada continuano a ridursi a ritmo accelerato. Lo confermano le misurazioni annuali condotte da geografi e glaciologi dell’Università di Padova, che
tratteggiano di anno in anno un quadro sempre più fosco sullo stato di salute del più importante ghiacciaio delle Dolomiti.
Grazie alla Campagna glaciologica partecipata organizzata dal Museo di Geografia dell’Università
di Padova
in collaborazione con il Comitato Glaciologico Italiano e ARPAV anche quest’anno una
ventina di escursionisti esperti provenienti dal Veneto, l’Emilia-Romagna e la Lombardia hanno potuto
seguire da vicino le misurazioni.
«Il ghiacciaio è in una situazione drammatica oltre all’assottigliamento generalizzato delle fronti
abbiamo registrato ritiri importanti, che nel punto di maggior regressione sfiorano i 90 metri su base
annua, con una media di arretramento negli otto segnali frontali di circa 20 metri in un anno – afferma
Mauro Varotto, responsabile delle misurazioni frontali del Ghiacciaio –. Questo trend di fusione porterà
presto la superficie totale del Ghiacciaio principale, calcolata in 112 ettari dal collega Francesco Ferrarese
nel 2022, a scendere, nei prossimi anni, al di sotto del chilometro quadrato: una soglia statisticamente
importante, la metà della superficie presente nel 2000 e meno di un quarto rispetto al 1900».
«Quest’estate – aggiunge Mauro Valt, tecnico ricercatore ARPAV – i ghiacciai lungo tutto l’arco
alpino sono in forte fusione a causa del combinato disposto di deboli nevicate negli ultimi due periodi
invernali e delle alte temperature estive. Nella seconda decade di agosto, in particolare, si è registrata in
area dolomitica la temperatura media più alta dal 1990, coincidente con una dozzina di giorni in cui le
temperature hanno superato il novantesimo percentile: la serie più lunga degli ultimi trentacinque anni».
«Dalle nostre elaborazioni dei dati forniti da ARPAV si evidenzia un innalzamento di 220 metri della
quota sciabile per ogni grado di aumento della temperatura in quota – commenta Alberto Lanzavecchia,
docente di Finanza Aziendale all’Università di Padova – e si disegna un quadro di insostenibilità
dell’industria dello sci, già resa evidente dai bilanci di gestione degli impianti di risalita e dalle necessarie
sovvenzioni pubbliche per gli investimenti in impianti a fune e bacini di accumulo dell’acqua. Ciò
nonostante, in questi giorni si discute sull’opportunità di investire ulteriori risorse per praticare lo snow
farming invece di iniziare ad investire su un’economia diversa e più sostenibile».
«Il valore aggiunto di questa iniziativa giunta ormai alla V edizione è quello di avvicinare la
cittadinanza alle pratiche di ricerca attraverso un’esperienza culturale a tutto tondo, in cui grazie alla guida di docenti ed esperti è possibile osservare, comprendere e problematizzare situazioni e processi complessi, attraverso un approccio multidisciplinare capace di far entrare in relazione profonda con il territorio. Il coinvolgimento diretto – conclude Giovanni Donadelli, curatore del Museo di Geografia Unipd – rappresenta una strategia vincente, capace di appassionare ed emozionare i partecipanti ed efficace nel promuovere conoscenza e consapevolezza dei cambiamenti climatici in atto nel contesto alpino»

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