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Un sistema di faglie esteso per almeno 100 km di lunghezza, lungo il quale si sono generati due ampi bacini sedimentari è stato identificato nel tratto di mare a sud-est di Santa Maria di Leuca, grazie ad una ricerca condotta da un team di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale nell’ambito del progetto FASTMIT, coordinato e supportato dal fondo premiale 2014 del Ministero dell’Università e della Ricerca, appena pubblicata sulla rivista “Tectonics” dal titolo ‘Active extension in a foreland trapped between two contractional chains: The South Apulia Fault System’.

La scoperta di tale sistema di faglie, denominato South Apulia Fault System, è stata possibile grazie una serie di campagne geofisiche eseguite con la nave OGS Explora.

Attraverso, poi, l’analisi di dati batimetrici ad alta risoluzione e di diversi profili e linee sismiche che hanno permesso di illuminare sia le strutture crostali profonde che i sedimenti quaternari che costituiscono il fondale marino, i ricercatori hanno ricostruito la geometria tridimensionale dei principali orizzonti geologici e delle faglie presenti in quest’area fino a una profondità di circa 12 km.

In particolare, lo studio congiunto OGS-INGV ha dimostrato che il SAFS ha iniziato la sua attività tettonica tra 1,3 e 1,8 milioni di anni fa, durante il Pleistocene inferiore, e che è tutt’ora attivo, come evidenziato dalla presenza di dislocazioni che interessano i sedimenti più recenti e il fondo mare. I tassi di movimento del SAFS sono nell’ordine di 0,2-0,4 mm/anno per quanto riguarda la sua componente estensionale, ma è stato possibile ipotizzare anche la presenza di una componente non trascurabile di movimento orizzontale.

L’area in cui si trova il SAFS in Puglia è una porzione sommersa del cosiddetto avampaese della “placca Adriatica”, un’area di crosta continentale considerata stabile rispetto alle due aree di catena poste ad ovest e ad est.

Le aree di avampaese sono tipicamente soggette a terremoti meno frequenti rispetto alle aree lungo i margini di placca e alle aree di catena, tuttavia non sono esenti da eventi di magnitudo anche significativa. In particolare, relativamente all’area studiata è storicamente noto il forte terremoto del 20 febbraio 1743, per il quale i cataloghi storici riportano una magnitudo stimata di 6.7. I cataloghi sismici riportano, inoltre, che questo terremoto causò ingenti danni sia nella regione salentina che nelle isole Ionie, oltre ad un probabile tsunami che interessò il porto di Brindisi. In base alla posizione geografica, alle evidenze di attività recente e all’assenza di altre strutture tettoniche di simile importanza all’interno dell’area di studio, gli esperti INGV e OGS hanno ipotizzato, dunque, che il SAFS possa essere la più probabile sorgente del terremoto del 1743.

I ricercatori auspicano che, nel futuro, ulteriori studi anche multidisciplinari permettano di acquisire nuovi dati ad alta risoluzione, così da poter comprendere con maggiore precisione la reale estensione del SAFS caratterizzandone con più precisione i tassi di attività, le implicazioni geodinamiche e gli effetti di scuotimento del sisma e dello tsunami del 1743.

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