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Un recente studio, a cui ha contribuito un team di paleontologi della Sapienza, ha messo in evidenza nuovi aspetti della biologia e del comportamento alimentare di una specie di bradipo gigante vissuto nel Pleistocene superiore. Questo mammifero era molto più grande rispetto agli attuali esemplari delle foreste tropicali del Centro e Sud America, quadrupede e non arboricolo, ma in definitiva non così diverso.

Grazie all’uso della tomografia computerizzata, i ricercatori hanno analizzato l’anatomia interna ed esterna di un cranio completo di un esemplare dell’altopiano boliviano. In particolare sono stati studiati in dettaglio l’osso ioide, i modelli 3D dell’encefalo, i nervi cranici e i seni paranasali. Il risultato dell’osservazione ha evidenziato che questo genere di bradipo ormai estinto possiede seni paranasali con sviluppo ridotto rispetto ad altre forme fossili, mostrando similitudini con quelli osservati nell’attuale bradipo didattilo Choloepus hoffmanni, un mammifero del peso di 6-7 kg con abitudini arboricole.

Inoltre, i risultati delle analisi 3D del sistema nervoso di Catonyx mostrano uno sviluppo ridotto del nervo ipoglosso, il nervo motore della lingua, che associato ad un osso ioide molto robusto indica una limitata protrusione della lingua a favore di una maggior capacità prensile delle labbra. Da questa e da altri elementi morfologici si è ipotizzato che Catonyx tarijensis fosse una forma brucatrice, tipica di ambienti con vegetazione variegata.

Le analisi tomografiche sono state condotte dal Dott. Dawid A. Iurino presso il laboratorio PaleoFactory del Dipartimento di Scienze della Terra di Sapienza coordinato dal Prof. Raffaele Sardella nell’ambito di un progetto avviato dal Dott. Alberto Boscaini del Conicet con la collaborazione del Museo Nazionale di Storia Naturale di La Paz, l’Università del Tennessee a Chattanooga.

“L’applicazione dei metodi tomografici – spiega Raffaele Sardella – continua a svelare preziosi dettagli anatomici in grado di fornire ai paleontologi informazioni utili a ricostruire, con sempre maggiore precisione, la paleoecologia di questi affascinanti mammiferi che rappresentano la punta di un iceberg di una lunga e articolata storia evolutiva le cui radici affondano nell’Eocene”. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista “Frontiers in Ecology and Evolution”.

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