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Le conseguenze della Brexit sulle politiche ambientali dell’Unione Europea, e in particolare l’impatto sul mercato delle emissioni di carbonio, sono al centro dello studio recentemente pubblicato sulla rivista scientifica “PLOS ONE” da Simone Borghesi, docente di Economia ambientale dell’Università di Siena, e Andrea Flori, ricercatore del Politecnico di Milano.

L’articolo scientifico, dal titolo “With or without U(K): a pre-Brexit network analysis of the EU ETS”, mostra, usando la teoria delle reti, come il mercato delle emissioni di carbonio avrebbe avuto una configurazione totalmente diversa senza il Regno Unito, che in questi anni ha svolto un ruolo centrale, e come la Brexit potrebbe comportare una profonda modifica nella direzione degli scambi, aumentando la centralità di altri paesi, come la Danimarca, la Germania, la Francia, l’Olanda, e in parte anche l’Italia.

“Il sistema europeo di scambio delle quote di emissione – spiega il professor Borghesi – è il più grande mercato al mondo delle emissioni di gas serra e tratta oltre i tre quarti degli scambi internazionali di carbonio. Opera in 31 Paesi e copre il 45% delle emissioni europee di gas serra. Vi partecipano oltre 11mila istallazioni appartenenti a settori ad alta intensità di energia”. “Ciascuna istallazione – prosegue Borghesi – deve acquistare delle quote di emissione per poter operare e può venderle qualora ne abbia in esubero. L’incontro di domanda e offerta genera il prezzo sul mercato delle quote, che costituisce dunque il prezzo che deve pagare chi inquina per produrre. Attualmente tale prezzo è di circa 26€ per tonnellata di anidride carbonica, in continua ascesa dopo la riforma mercato delle emissioni introdotta all’inizio del 2018”.

Come mostra lo studio, il Regno Unito ha svolto finora un ruolo molto attivo: il 17% di tutti gli scambi avvenuti sul mercato delle emissioni ha infatti coinvolto unità registrate in UK.

“Molti operatori – precisa Borghesi – hanno preferito iscriversi al registro del Regno Unito piuttosto che a quello del loro Paese di appartenenza, presumibilmente per l’esistenza di intermediari finanziari e piattaforme dedicate allo scambio delle quote di emissione”.

Uno scenario che potrebbe essere dunque profondamente modificato dall’eventuale uscita del Regno Unito dal mercato delle emissioni e soprattutto in continua evoluzione, con importanti possibili impatti socio-politici legati all’urgenza di raggiungere gli obiettivi di sostenibilità fissati negli accordi di Parigi.

“Il Regno Unito ha una politica ambientale più restrittiva della media dei paesi europei” – conclude Borghesi. “La sua uscita dal sistema potrebbe quindi indebolire le politiche ambientali europee. Allo stesso tempo, però, l’UE ha stabilito un meccanismo di aggiustamento automatico che consente di far fronte ad eventuali squilibri sul mercato delle emissioni tra domanda e offerta, come quelli che potrebbero derivare dall’uscita del Regno Unito, perciò credo che il sistema potrebbe far fronte ad un’eventuale Brexit dura senza rilevanti contraccolpi sul prezzo e quindi senza perdere di efficacia. Anzi, il sistema potrebbe risultare alla fine più omogeneo, con una maggiore partecipazione agli scambi da parte degli altri Paesi. Sarà interessante vedere quale sarà l’esito della Brexit ed abbiamo già in programma altri studi per analizzare l’evoluzione futura del mercato delle emissioni”

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